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Tutto, ma proprio tutto, su Pride & Prejudice: Happily Ever After di S. Fullerton (Anteprima)

fullerton_happily-ever-afterSpesso ho provato ad immaginare cosa passasse per la mente di Jane Austen mentre preparava la copia per la stampa del suo amato Pride & Prejudice.
Mi posso avventurare a pensare, sulla base di ciò che lei stessa scrisse nelle lettere del periodo o di quanto raccontato in seguito dai parenti, che fosse cosciente di aver destinato ai futuri lettori una storia bellissima, un ottimo lavoro letterario, già più volte apprezzato in ambiente familiare.
Anche il suo sogno era quello comune a tutti gli artisti della penna, cioè passare alla storia?
Non mi avventuro a dire che, in fondo, lo desiderasse. Ma posso di certo affermare che non poteva immaginare, nemmeno lontanamente, che 200 anni dopo il suo Pride & Prejudice sarebbe stato così apprezzato da avere fama mondiale e un pubblico di numerosi e fedeli ammiratori, nonché un’inarrestabile fioritura di declinazioni nei più svariati mezzi di comunicazione e di imitazioni e adattamenti di ogni genere!

Il libro che sta per uscire il prossimo 3 gennaio da Frances Lincoln (e che ho avuto il grande piacere di leggere in anteprima), ci racconta tutto quanto vorremmo sapere sul mondo di Pride & Prejudice.
Il titolo è già un programma perché Happily Ever After (per sempre felici e contenti) riecheggia il lieto fine di una fiaba, che può riguardare la vicenda della coppia d’oro austeniana protagonista del romanzo, Elizabeth e Darcy, ma anche il destino del romanzo stesso, visceralmente amato in tutto il mondo. Inoltre, ci promette una lunga, appassionante narrazione intorno a questo capolavoro, affidata all’autrice, l’autorevole Susannah Fullerton, Presidente della Jane Austen Society of Australia.

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A dance with Jane Austen – ovvero: l’importanza sociale e narrativa del ballo

Inevitabilmente, le danze riempiono le pagine delle opere di Jane Austen.
Innanzitutto, perché facevano parte della vita quotidiana dei suoi tempi. I balli avevano una funzione sociale fondamentale perché permettevano alle persone di incontrarsi e conoscersi derogando, entro limiti ben precisi, alle rigide regole che governavano i rapporti umani. Erano le sole occasioni in cui giovani di ambo i sessi potevano non soLo interagire direttamente ma anche toccarsi, anche se solo per il brevissimo intreccio delle mani durante una danza. Questa prossimità, questa promiscuità fisica, che oggi appare così casta da sembrare addirittura inesistente, annullava temporaneamente alcune barriere.
In secondo luogo, perché Jane evidentemente ama raccontare tutto quanto ruoti intorno alle occasioni danzanti. Le biografie familiari e le lettere, infatti, ci restituiscono l’immagine nitida di una donna appassionata di musica e ballo, che si prepara attentamente curando abiti e accessori (secondo le possibilità concesse dalle sue finanze sempre limitate), pregustando il divertimento e addirittura rinnovandolo nel piacere di raccontare nei particolari e con dovizia di commenti personali tutto quanto vi è accaduto.

Leggere il libro A dance with Jane Austen di Susannah Fullerton, edito da Frances Lincoln Publishers significa immergersi totalmente nelle pagine dei romanzi di Jane Austen e, attraverso di essi, nella moda e nel costume dell’epoca.

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Il leggendario Almack’s di Londra

Inoltre, se vi sentite perfettamente in sintonia con la cara Zia Jane perché amate ballare, siete ballerini provetti, ammirati e ricercati ed avete nella memoria serate in cui non avreste mai smesso di volteggiare, questo libro fa al caso vostro perché qui troverete coniugate due diverse ma intense passioni, quella per Jane Austen e quella per il ballo.

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Zia Fay parla di Zia Jane: Letters to Alice on first reading Jane Austen

fay_weldon_letters_to_alice_011Ho scoperto questo libriccino – minuscolo ma densissimo – del tutto per caso, passeggiando nella blogosfera alla ricerca di tracce sull’adattamento televisivo BBC di Pride & Prejudice che Fay Weldon sceneggiò nel 1979 (andato in onda nel gennaio del 1980).
(per tutti i dettagli in merito, si veda il post: (Ri)Scoprire Pride & Prejudice BBC 1980
Minuscolo è un aggettivo forse adatto alle sue dimensioni (e anche al fatto che è tra i lavori meno conosciuti di Mrs Weldon) ma non certo alla sua qualità:  la sua portata in termini di sollecitazione delle nostre celluline grigie, infatti, è inversamente proporzionale alle sue dimensioni ridotte. E non si limita all’argomento principale, cioè Jane Austen.
Intendiamoci: non c’è nessuna grandiosa rivelazione ma è un lussuosissimo, frizzante, talvolta commovente  e di certo sempre originale spunto per la riflessione su ciò che, in quanto Janeite, amiamo di più: Jane Austen e le letteratura.
E che per questo io consiglierei vivamente anche a coloro che di Jane Austen non hanno mai sentito (anche volutamente…) parlare.

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Marriageableness, ovvero: il grande equivoco austeniano

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Il luogo comune che trovo più fastidioso a proposito di Jane Austen è quello che considera i suoi romanzi e le sue eroine come una gigantesca macchina da guerra in crinoline mossa verso l’unico obiettivo finale: il matrimonio.
Da questo, credo, conseguono tutti gli altri – provando a metterli insieme: sono romanzi da brave ragazze, con figure femminili antifemministe, il cui unico pensiero è la ricerca del principe azzurro, bello e ricco; ergo, romanzo rosa; cioè roba da donne, anzi, donnicciole in preda ai fumi del romanticismo più melenso e sfrenato, in breve una noia insostenibile se non addirittura dannosa.
Ma, di certo, quello più forte di tutti è appunto il matrimonio come unica carriera femminile possibile – come se le nozze finali dei romanzi austeniani fossero l’unico elemento narrativo importante e non una logica conseguenza di un lungo, avvincente ragionamento in forma di romanzo.
Leggendo uno dei libri che spesso amo citare nelle mie chiacchierate – Jane Austen,  di Tony Tanner, raccolta di saggi che questo studioso e critico ha scritto sui romanzi canonici austeniani – ho trovato la citazione di un brano che si può considerare l’emblema di questo colossale equivoco.

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La terza dichiarazione per Elizabeth Bennet

La prima dichiarazione, secondo www.pemberleypond.com

Siamo talmente abituati a sentire etichettare Jane Austen come “roba da donne” – o da educande, che pensano solo al matrimonio, per di più vantaggioso, perfette eroine da romanzo rosa, solo per ricordare alcuni dei più forti ed infondati luoghi comuni – che non riusciamo a reprimere un moto di piacevole sopresa, che si tramuta subito in entusiasmo, quando un uomo mostra interesse e gradimento per la nostra beniamina.
Di più, siamo inevitabilmente portate – noi, donne austeniane – a guardare con un occhio di grande riguardo e profonda ammirazione un tale uomo.
Spingendomi più in là, potrei persino dire che, così, trasformiamo in affermazione la fatidica domanda di Lizzie, these are the words of a gentleman, queste sono parole da gentiluomo. Salvo beneficio d’inventario, s’intende.
Al novero degli Austeniani di genere maschile appartiene il Prof. George Saintsbury (1845-1933) studioso di letteratura inglese, docente universitario, che non solo ha dedicato il proprio lavoro all’opera di Jane Austen, lasciando analisi acute e di riferimento per chiunque tratti la materia, ma è anche il padre del termine che ci accomuna tutti in questa ammirazione (devozione? fanatismo? scegliete ciò che vi si addice di più, anche tutti e tre): Janites.
Abbiamo già avuto modo di scoprire questa sua fondamentale paternità, condivisa con un altro grande della cultura inglese, Rudyard Kipling.
(Per saperne di più, invito a leggere i post della serie Come nasce la parola Janites)

Oggi, torno a curiosare nello scritto che ha visto la nascita del termine e del concetto di Janeite per riprendere un tema che sembra germogliare spontaneamente, come un binomio inscindibile con Jane Austen e/o con Pride and Prejudice: l’amore per Elizabeth Bennet.
Servitevi abbondantemente di tè e dolcetti, dunque, stiamo per assistere ad una lunga, originale, entusiastica “terza dichiarazione”.

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