Archivi categoria: Opere di Jane Austen

Pemberley, proiezione dell’animo di Darcy

In Pride and Prejudice/Orgoglio e Pregiudizio c’è una lunga scena di descrizione di luogo – una delle rarissime di questo genere e, proprio per questo, di grande significato – che Jane Austen scrive, inutile dirlo, in modo mirabile, quasi come se, pur senza avere la più pallida idea di che cosa sarebbe stato un film, l’abbia sceneggiata ad arte per il grande schermo.

Siamo al capitolo 43 – che non a caso è il cap. 1 del volume 3 nella prima edizione in tre volumi, proprio a sottolineare l’importanza del momento, che segna l’inizio di un nuovo percorso.

Elizabeth, accompagnata dagli zii Gardiner, mette piede nella proprietà di Darcy, la mitica Pemberley, e noi seguiamo in presa diretta il suo inoltrarsi in quel luogo, mentre cammina per i sentieri, ammira il paesaggio, si sofferma sull’enorme ed elegante edificio, vi entra, penetrando così in quella che è la casa dell’uomo che ha appena incominciato a conoscere veramente, al di là delle sovrastrutture che fino ad ora ne hanno alterato la giusta percezione.

Percorrere i sentieri ed i corridoi di Pemberley, per Lizzy equivale ad immergersi nella realtà di Darcy, esplorarla, elaborarne le suggestioni, acquisire una profonda e completa conoscenza di colui che ne è il proprietario e abitante.
…perché Pemberley è Darcy.
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Alle origini di tutti i derivati austeniani: Old Friends & New Fancies di S.G.Brinton

brinton_sybil__oldfriendsQuesto romanzo di Sybil G. Brinton prosegue le vicende di Pride and Prejudice/Orgoglio e Pregiudizio: scritto nel 1913 (sì, un secolo dopo la pubblicazione del romanzo a cui si ispira!) e pubblicato nel 1914, è considerato il primo derivato austeniano mai dato alle stampe nella storia dell’editoria. Un romanzo davvero degno di  essere considerato il fondatore del genere!

Al momento, è disponibile solo in inglese ma spero che qualche casa editrice vorrà presto cimentarsi nella sua traduzione perché merita davvero di essere letto anche dal vasto pubblico di Janeite di lingua italiana. [Il 26 set. 2013 è uscita la traduzione italiana, ed. Jo March Agenzia letteraria, vai al post]
I motivi di curiosità verso questo derivato da JA sono moltissimi e tutti ne giustificano ampiamente la lettura.
Innanzitutto, perché, secondo quanto la casa editrice Sourcebooks dichiara in copertina, questo è il primo derivato austeniano della storia: la data di prima pubblicazione, infatti, è il 1913 (un secolo esatto dopo P&P!). A buona ragione, dunque, lo possiamo ritenere antesignano e fondatore di un intero genere, divenuto oggi fenomeno editoriale assai prolifico.
In secondo luogo perché, essendo stato scritto in totale assenza di altri esempi simili, Sybil Brinton non ha avuto tempo né modo di essere influenzata dalla massa abnorme e sempre prolifica di derivati austeniani di ogni genere (letterario o cinematografico) e dalle loro libere interpretazioni, né dalle fan fiction. Insomma, in questa pioniera c’è proprio un grande amore per la materia austeniana pura e semplice, senza alterazioni.
Infine, perché sulla base portante di P&P vengono inseriti una quantità di personaggi tratti da tutti gli altri romanzi di JA, trasformando, dunque, questo romanzo in una vera e propria summa di tutta l’opera austeniana, quasi come se si trattasse di un omaggio alla scrittrice ed al suo microcosmo letterario.
(Questa recensione è stata pubblicata la prima volta sul blog Old Friends and New Fancies il 18 luglio 2011 e, in seguito, ripubblicata qui nella data della conclusione effettiva della lettura)
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Non leggete questo libro. Meglio: dimenticate che esiste. Ecco perché..
Recensione di Orgoglio e Pregiudizio e Zombie

orgoglio_pregiudizio_zombie_coverAvevo promesso a me stessa che mai avrei parlato di questo libro nei miei tè con Jane Austen. Non volevo dargli ulteriore visibilità, ne ha già fin troppa grazie al sapiente lavoro dell’uff. marketing della casa editrice.
Mi sono decisa a farlo solo perché voglio impedire che altre persone, in assoluta buona fede come me, cadano nella trappola della bieca industria editoriale austeniana. O almeno, vorrei che la loro scelta fosse fatta con cognizione di causa.
Sedetevi comodi e servitevi più volte di tè e biscotti (se non siete deboli di stomaco)…

Intorno al Ferragosto del 2010, mentre mi aggiravo nella mia libreria di fiducia semi-deserta, ho adocchiato questa copertina, decisamente furbetta, con una gentile signorina in perfetto stile Regency ma… sbrindellata e sanguinolenta. Orgoglio e pregiudizio e zombie. Ma certo, ne avevo già sentito parlare. Non solo io, a quanto pare, visto che la fascetta di copertina ricordava che aveva già venduto un milione di copie.
Sì, il nome dell’autore accanto a quello di Jane Austen mi sembrava un azzardo al limite dell’arroganza, però… Non amo il genere (anche se in gioventù non mi sono sottratta alla visione della Notte dei morti viventi del maestro Romero) ma l’idea di reimpastare O&P in salsa zombie mi restituiva una sensazione di puro divertimento, tanto le due cose sono distanti l’una dall’altra!

Pensandoci bene, la contaminazione dei generi non mi sembrava fuori luogo. In fondo, qual è il genere romanzesco che divertiva tanto Jane Austen, talmente tanto da farne una parodia in Northanger Abbey? Il gotico. Dal quale hanno avuto origine altri generi, tra cui quello dell’orrore. Insomma, un senso austeniano c’era. Inoltre, mi pareva che i due protagonisti si prestassero perfettamente ad una trama oscura – la battagliera Elizabeth ed il misterioso Darcy – e che le altre figure potessero essere trasformate e piegate alle ragioni della letteratura di questo genere… E sia! Lo comprai. E lo lessi.

Ecco ora il racconto della mia deludente esperienza. E le ragioni di un’impietosa stroncatura.

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Una stanza tutta per sé, di Virginia Woolf

Virginia Woolf

Virginia Woolf nella sua stanza, tra cose meravigliose da leggere e scrivere

No, non potevo esimermi dal chiacchierare in libertà anche di questo libro, dopo aver ricordato quanto la geniale Virginia Woolf (autrice del  saggio Una stanza tutta per sé) amasse Jane Austen, tanto da definirla perfetta ed immortale
Questa sua opera è, per me, il suo capolavoro assoluto, al di sopra anche dei romanzi per i quali sembra essere ben più famosa. Perché? Ve lo racconto subito.

A room of one’s own (Una stanza tutta per sé) è il libro che non dovrebbe mancare nel corredo culturale di ogni donna.
…Insieme ai romanzi di Jane Austen, of course! Nel mio altarino austeniano, del resto, questa è l’unica presenza non austeniana, insieme a Jane Eyre di Charlotte Bronte, perché questi sono i libri che hanno accompagnato la mia formazione, e continuano a farlo ancora oggi (perché non si finisce mai di crescere!) .
Questo è un libro “per la vita” perché di essa racconta. E racconta delle donne, e degli uomini, della propria autonomia e della possibilità di vivere armoniosamente. Buttate via i trattati di sociologia, psicologia, antropologia, storia! Ci basta Virginia Woolf!

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Ma che cosa resta? La risposta è nel titolo

La vita si risveglia nel giardino di Chawton, la casa di Jane Austen (04/02/11 – foto del Jane Austen’s House Museum)

Chiudo il mio excursus sull’opera di Pamela Aidan con una riflessione “a latere”.

Dei romanzi della Trilogia di Fitzwilliam Darcy, gentiluomo di Pamela Aidan, derivati da Pride and Prejudice/Orgoglio e Pregiudizio, il terzo ha un titolo apparentemente anomalo rispetto agli altri due (che invece riecheggiano quello di Jane Austen): These three remain (Quello che resta).
La citazione in testa al primo capitolo, però, chiarisce subito che questo titolo è stato scelto appositamente perché ha un significato preciso e profondo.Viene da qui:

And now these three remain: faith, hope and love. But the greatest of these is love.
[Queste dunque le tre cose che restano: fede, speranza e amore. Ma di tutte, la più grande è l’amore.]
San Paolo – Prima lettera ai Corinzi (cap. 13)

E’ uno dei più famosi passi della Bibbia, che di certo molti di voi avranno già sentito e risentito, magari durante la celebrazione di un matrimonio (soprattutto civile, dove pare sia molto gettonato).
Credenti o no, presumo che saremo tutti d’accordo nel definirla una delle cose più belle che un essere umano abbia mai scritto, e la sua semplice verità universale è e sarà sempre potentissima.
E’ bene fare una precisazione: la Chiesa Cattolica, nella traduzione ufficiale italiana, al posto di amore preferisce la parola carità nel senso di amore universale, che vuole solo il bene altrui. Ma nelle altre religioni cristiane, così come nelle lingue diverse dall’italiano, si è soliti parlare esplicitamente di amore inteso nella sua accezione più pura – ed è questa la versione che preferisco perché credo sia di immediata comprensione per tutti.

Trovate che sia un po’ pretenzioso (se non addirittura inopportuno) riferirsi a questo mirabile testo immortale per dare il titolo ed aprire un libro di tal fatta? Forse. Ma di certo, dopo tutto il mio leggere e riflettere, mi sento di dire che non è neppure così fuori luogo.
Se nel rapporto tra Darcy ed Elizabeth (personaggi di fantasia solo all’apparenza leggeri) possiamo ritrovare una rappresentazione ideale del rapporto universale tra uomo e donna, allora non faremo fatica a ritrovare questa forma di amore, una delle tante, proprio nelle parole che sublimano l’Amore più grande, che le contiene tutte.

Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli ma non avessi l’amore, sarei come bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi l’amore, non sarei nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi l’amore, nulla mi gioverebbe.
L’amore è paziente, è benigno.
Non è invidioso, l’amore.
Non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace solo della verità.
Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
L’amore non avrà mai fine.
[…] Queste dunque le tre cose che restano: fede, speranza e amore. Ma di tutte, la più grande è l’amore.

Note:
Il brano della prima lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi è copiato dalla Bibbia di Gerusalemme (testo biblico: “La sacra Bibbia della CEI” editio princeps 1971), Centro Editoriale Dehoniano, Bologna, ed. 1977, nel quale mi sono permessa di sostituire carità con amore.