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Jane indaga a Pemberley! – in Jane e l’arcano di Penfolds Hall (serie S. Barron, vol.5)

barron_05_jane-penfolds-hallLe mie esperienze di lettura dei romanzi di Stephanie Barron, della serie “Le indagini di Jane Austen”. Quinta puntata: L’arcano di Penfolds Hall (vol.5).

Per il giudizio generale su questo tipo di lettura e le note sull’autrice Stephanie Barron, rimando alla puntata dedicata a La disgrazia di Lady Scargrave, vol.1.
Per le puntate precedenti: Il Mistero del Reverendo, vol.2Il Segreto del Medaglione, vol.3Lo spirito del Male vol.4

Come spesso accade nei miei tè delle cinque, comincio dalla fine, cioè dal giudizio complessivo su questo romanzo – la quinta indagine della Jane Austen tra realtà e fantasia inventata da Stephanie Barron – per dire che senza dubbi è il migliore dei primi cinque.
Mai come in questa indagine, la miscela di verità e finzione è perfettamente amalgamata in un omaggio di grande amore, ringraziamento e rispetto alla geniale creatrice di capolavori immortali. Qui, uno solo di essi si annuncia fin dalle prime battute come l’ingrediente principale, Pride and Prejudice (Orgoglio e Pregiudizio).

Pride and Prejudice, frontespizio prima edizione

Posso immaginare un guizzo di scetticismo nel vostro sguardo mentre leggete questa frase. E per motivi molto vari.
Potreste obiettare che il mio giudizio sia pesantemente influenzato dal mio amore viscerale per la vicenda di Elizabeth, Darcy & Co. o dalla mia consolidata frequentazione di derivati di ogni genere, che potrebbe tendere ad abbassare, sporcare, indebolire il mio livello di discernimento.
Oppure che per un autore di oggi sia fin troppo facile conquistare il favore dei lettori adagiandosi sul tappeto soffice e sicuro di questo capolavoro.
Oppure, proprio per lo stesso motivo, che sia del tutto impossibile per lo stesso ardito autore creare qualcosa di originale eppure rispettoso.
Per togliervi qualunque dubbio o curiosità, vi invito a seguirmi per un tè nel bucolico Derbyshire, l’Eden di tutti i Janeite, al seguito della stessa Jane Austen, in visita a suo cugino il reverendo Edward Cooper, e nei meandri di un mystery classico e appassionante, da includere di diritto nelle letture immancabili in questo anno del Bicentenario di Pride and Prejudice (Orgogoglio e Pregiudizio).

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Il diario della dodicenne Jane da Caro diario ti scrivo…

CaroDiario

Care e cari Janeite, che cosa vi viene in mente se dico “diario”?
Che domanda… Henry Tilney, gran maestro d’ironia e di muliebri virtù! – che in un posto mondanissimo come le Lower Rooms di Bath diverte se stesso e la sua giovane e ingenua dama Catherine (che ha appena osato insinuare “Ma, forse, non tengo un diario”) con una breve ma accurata descrizione dell’utilità propedeutica del diario:

Non tenere un diario! Come fa la vostra cugina lontana a sapere il tipo di vita che fate a Bath senza un diario? Come possono essere riferite a dovere le cortesie e i complimenti di tutti i giorni, se non le si annota ogni sera in un diario? Come ricordarsi i vestiti indossati, e lo stato particolare della carnagione, e come descrivere tutte le sfumature dell’acconciatura dei vostri capelli, senza fare costante ricorso a un diario? Mia cara signorina, non sono così all’oscuro delle abitudini delle giovani signore come vorreste credermi; è quest’uso delizioso di tenere un diario che contribuisce a gran parte dello stile fluente nello scrivere per il quale le signore sono così generalmente celebrate. Lo sanno tutti che il talento di scrivere lettere piacevoli è tipicamente femminile. La natura può entrarci qualcosa, ma sono certo che dev’essere assistito concretamente dall’abitudine a tenere un diario.
(L’Abbazia di Northanger, cap. III)

Jane Austen, nascosta dietro al suo Henry, si prende gioco della gabbia sociale in cui l’arte dello scrivere al femminile è stata ingabbiata e, nel farlo, ci regala un quadro perfetto di questo particolare strumento di autoconoscenza e creatività: il diario.

jane-writes

Jane al suo scrittoio (da Miss Austen Regrets)

Ma Jane – che scriveva come respirava, cioè in modo del tutto naturale e vitale, raccontando e analizzando se stessa e la realtà che la circondava – aveva un diario? Non lo sappiamo per certo, nessun diario di Jane Austen è arrivato fino a noi e nelle lettere o nelle biografie familiari non ci sono accenni espliciti a questa consuetudine, anche se non fatichiamo a immaginare Jane intenta a scrivere un diario.
Come sempre accade in questi casi, la nostra affettuosa fantasia colma la dolorosa lacuna: basti pensare a due esempi famosi come i romanzi di Syrie James o Stephanie Barron.
Oggi vi invito a scoprire un libro italianissimo, Caro diario ti scrivo che, grazie a Patrizia Rinaldi e Nadia Terranova, immagina alcune pagine dei diari di sei grandi scrittrici, colte nei loro dodici anni, nel momento in cui cominciano a scoprire il mondo anche attraverso quella meravigliosa magia che è la scrittura: Matilde Serao (ovvero L’amore o qualcosa di simile), Beatrix Potter (ovvero La parola può tutto), Anna Maria Ortese (ovvero Dov’è casa mia?), Emily Dickinson (ovvero Vivere con la timidezza), Silvina Ocampo (ovvero Diventare forza fantastica) e – scusate se sono così spudoratamente di parte – dulcis in fundo Jane Austen. Ovvero: L’anticonformismo.

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Felicemente travolta da The Lizzie Bennet Diaries. Ecco perché! Ovvero: memorie e follie a ruota libera di una serissima LBD-addicted

Abbiate pazienza, cari frequentatori dei miei tè delle cinque, e concedetemi qualche minuto. 
Sapete che non sono facile all’entusiasmo ma, quando capita, è totalizzante – e con questo adattamento è capitato, come avrete ben capito. Scrivere la “Guida per i Janeites italiani” (link in fondo al post), inoltre, mi ha fatto venire una voglia irresistibile di prendermi questo tè per abbandonarmi alla mia attività preferita, l’elucubrazione a ruota libera. Perciò, se avete visto anche voi questa serie e avete voglia di un bell’amarcord, o se non l’avete vista ma ormai vi siete rassegnati a guardarla anche solo per farmi tacere, servitevi abbondantemente di tè e dolcetti e seguitemi nella rete!

I can’t believe it, either, that my heart could completely overwhelm my judgement.
Nemmeno io riesco a credere che il mio cuore potesse sopraffare completamente il mio giudizio.
(Darcy, LBD)

Ho iniziato a guardare questa serie (web series, per la precisione, cioè trasmessa solo online, su Youtube) per pura curiosità, dopo averne sentito parlare per caso in un programma televisivo.

Era la fine di maggio 2012 e quella sera, accedendo al canale della serie, scoprii che era appena stato trasmesso l’episodio n.15 e che ogni episodio durava meno di 4 minuti. Decisi di guardarli tutti e 15 quella sera stessa.
Non sapevo che cosa aspettarmi da questo ennesimo adattamento di Pride and Prejudice (Orgoglio e Pregiudizio) in una forma del tutto nuova, un vlog (cioè un video-blog), e mi apprestai ad un’ora di semplice… studio esplorativo.
Sentire l’incipit declamato con pesante accento americano – anzi, californiano DOC – mi fece restare un po’ interdetta ma fu questione di un nanosecondo perché la parlantina della protagonista, l’energia che metteva nel lamentarsi di una madre pericolosamente votata a vedere lei e le sorelle “sistemate”, il piglio fiero e entusiasta con cui si presentava come una ventiquattrenne studentessa di Mass Communications (da noi frequenterebbe la facoltà di Scienze della Comunicazione) appassionata di libri (come dimostrava la libreria allegramente sovraccarica che vedevo alle sue spalle) e dei film di Colin Firth (come darle torto..), tutto cominciò a cantare nella mia testa come in un coro a più voci, dove quelle più distanti e antiche si intrecciavano armoniosamente con queste, modernissime e più vicine…

In capo a un’ora ero già stregata. I miei lunedì ed i miei giovedì (i giorni di trasmissione dei nuovi episodi) non furono più gli stessi perché diventarono i giorni di LBD – e lo sono stati per quasi un anno, per 100 episodi (più quelli collaterali, di cui ho perso il conto), fino allo scorso giovedì.

http://themeryton.tumblr.com/
Oggi, ad una settimana dalla fine, per scongiurare le conseguenze di una crisi di astinenza da LBD, ho deciso di raccontarvi perché questa serie, fedelissima al romanzo pur nella sua iper-moderna originalità, è per me il più bell’omaggio che il 2013 potesse fare all’eterna modernità di P&P e della sua geniale creatrice, Jane Austen.

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Alle origini di Pride and Prejudice: Cecilia, Memoirs of an heiress, di Frances “Fanny” Burney

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Leggere Cecilia,  or Memoirs of an heiress (Memorie di un’ereditiera), dopo Evelina significa trovarsi improvvisamente sul lato non illuminato della luna. La luce calda e l’aria frizzante del primo romanzo di Fanny Burney si spengono e la prosa scoppiettante, i personaggi originali, le tracce di ironia spariscono. Del tutto. Un altro pianeta.
Devo chiedere perdono all’autrice, Fanny Burney, donna notevole ed arguta, che in Evelina ha senza dubbio dimostrato il suo grande valore e di suoi tanti talenti, raccogliendone ottimi frutti.
Ma in questo caso, con mio grande dispiacere, devo dire che mi sono ritrovata tra  le mani un romanzo troppo lungo, con sorprendenti tirate melodrammatiche degne di un libretto d’opera settecentesco (e una sovrabbondanza quasi snervante di punti esclamativi), e persino con inaspettate tirate moraliste a cui difetta del tutto l’ironia per poterle considerare uno sberleffo.
Perché mai mi sono imbarcata nell’impresa di leggere un tomo simile?…
Non solo perché è uno dei romanzi di una tra gli autori più amati da Jane Austen, persino citato in Northanger Abbey, ma anche perché pare (non è cosa certa) che il nuovo titolo per First Impressions, cioè Pride and Prejudice, sia stato ispirato proprio dalle ultime pagine di  Cecilia.
Non potevo esimermi dall’affrontare questa impresa, per quanto evidentemente faticosa, nell’anno del Bicentenario!(link al tè delle cinque dedicato a Evelina in fondo al post)

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Dallo scaffale di Jane: Evelina, di Fanny Burney

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Leggere i libri che Jane Austen leggeva ha vantaggi molteplici, che vanno al di là del puro piacere di leggere, vantaggioso in se stesso: permette di farsi un’idea del panorama editoriale e letterario dell’epoca nonché della formazione della sensibilità narrativa della Jane giovane lettrice e scrittrice.
Perciò, dopo I misteri di Udolpho di Ann Radcliffe (autrice di cui avevo già letto, tanti anni fa, Romanzo Siciliano), mi sono imbarcata nell’esplorazione di un’altra scrittrice particolarmente amata e citata da Miss Austen: Frances “Fanny” Burney (13 giugno 1752 – 6 gennaio 1840).
In successione, ho letto Evelina, il suo primo romanzo, un grandissimo successo dell’epoca, e Cecilia, il secondo romanzo, strettamente legato a Pride and Prejudice proprio per la scelta del titolo (anche se non ne abbiamo alcuna prova certa), di cui parleremo nel prossimo tè delle cinque. Ben presto inizierò il terzo romanzo, Camilla, quello per il quale la stessa Jane, ventenne, scelse di sottoscrivere pubblicamente la raccolta di denaro utile a finanziarlo (per saperne di più, si veda il link al post in fondo alla pagina).

Oggi vi invito ad accompagnare il nostro tè con il primo romanzo di Fanny Burney, Evelina, or The History of a Young Lady’s Entrance into the World, provando ad immaginarci nella stessa situazione in cui molto probabilmente si trovò una giovanissima Jane Austen quando lo lesse la prima volta, cioè seduti nella drawing room della canonica di Steventon con la numerosa e vivace famiglia Austen, tutti intenti in un’appassionante lettura da alta voce.
Non saremo lontani dalla verità perché, grazie ai Memoir familiari, sappiamo che questa era un’abitudine consolidata del clan Austen e che Jane aveva una bella voce nonché la capacità di vivacizzare la lettura. Riuscite a vederli mentre ascoltano Jane e magari commentano il testo insieme a lei, proprio come faremmo noi nei nostri gruppi di lettura?…

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