Nel post di Capodanno, ho raccontato la scena di ballo più lunga e minuziosa mai scritta da Jane Austen, ovvero la grandiosa scena che apre l’incompiuto The Watsons (I Watson). In chiusura di quel tè delle cinque a passo di danza, ho sottolineato come sia sorprendente, in modo talmente eclatante da apparire inspiegabile nonché assurdo, che la settima arte non si sia mai appropriata dei Watson.
Ci sono stati tentativi letterari di completare l’opera abbandonata (a cominciare dalla nipote Catherine Hubback, nel 1850, per finire nel 1996 con Joan Aiken). Ma nessuno ha mai portato questo romanzo sul palcoscenico né sullo schermo, malgrado la sua natura teatrale. Proprio come qualunque altra opera di Jane Austen, infatti, anche questo incompiuto presenta una sceneggiatura perfetta già pronta per essere impastata, cotta e consumata. Se qualcuno si è preso il disturbo di portare sullo schermo il più doloroso degli incompiuti austeniani, Sanditon, legato strettamente alla morte della sua autrice, non si vede perché non possa esserlo quest’altro incompiuto, così luminoso e storicamente interessante.
Eppure qualcosa si è già messo in moto perché, come riportavo nell’ultima frase del mio post di Capodanno, si ha notizia di un recentissimo adattamento per il teatro, che è di fatto il primo adattamento in assoluto di quest’opera così spesso dimenticata anche dai Janeite più ferventi.
Oggi – anche per distrarre tutti i Janeite dall’imminente arrivo dell’ennesimo adattamento di Emma per il cinema (sì, lo so, non ne abbiamo mai abbastanza!) – mantengo la promessa che ho fatto a Capodanno: andiamo a prendere il nostro tè delle cinque nel West End londinese dove lo spettacolo The Watsons sta per compiere un grande debutto, dopo un rodaggio di successo iniziato nel 2018 a Chichester, nel Surrey, e proseguito in un dei teatri più brillanti e innovativi di Londra. Accomodiamoci in sala, dunque, lo spettacolo dei Watson ha inizio.
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Il ballo più lungo e dettagliato scritto da Jane Austen è in The Watsons (I Watson)
Nei romanzi di Jane Austen, la danza è una grande protagonista. Innanzitutto per una motivazione sociale: ai suoi tempi, era l’unica occasione che ogni persona aveva di interagire con altre persone, anche se sconosciute, e con un buon grado di libertà (benché all’interno di un quadro normativo ben preciso, dettato dalle regole dell’etichetta). Un ballo – grandioso o per pochi intimi, pubblico o privato – permetteva un’attività sociale di grande importanza che trascendeva il mero desiderio individuale e ne estendeva l’utilità all’intera collettività perché era il luogo ideale per rinsaldare i legami esistenti e intrecciarne di nuovi. Un ballo non era solo divertimento, dunque, ma un luogo sociale di capitale importanza per la vita dell’intera comunità. Inevitabilmente, i personaggi di Jane Austen partecipano ad una quantità di balli così come lei stessa, sua creatrice, e tutte le persone intorno a lei facevano nella realtà.
Il fine cesello austeniano dipinge in ognuno dei sei romanzi maggiori delle scene di danza memorabili, grandiose e avvincenti, in cui la penna dell’autrice si muove come la bacchetta di un direttore d’orchestra che concerta ogni elemento con gesto elegante e sicuro.
Ogni Janeite custodisce nel proprio cuore la preferenza per una scena di ballo in particolare. Ognuno di noi ha la sua preferita: l’intensissimo ballo di Netherfield in Pride and Prejudice (Orgoglio e Pregiudizio); il perfetto ed emozionante ballo al Crown Inn in Emma; i tanti, avventurosi balli della giovane Catherine a Bath, con un cavaliere/pigmalione desiderabilissimo come Henry Tilney, in Northanger Abbey (L’Abbazia di Northanger)… Quanto è lungo l’elenco? Potremmo citarli tutti e conversarne per ore intere, fino a cogliere l’occasione per andarci a rileggere tutti i romanzi alla ricerca di ogni singola scena di ballo. Ma, sfogliandoli tutti in rigoroso ordine di pubblicazione, da Ragione e Sentimento via via fino all’ultima pagina di Persuasione, non mi sentireste mai esclamare “Ecco, questa è la mia preferita, in assoluto!”.
Non è tra i Fantastici Sei di Miss Austen, infatti, che troverete la mia scena di ballo più amata. La danza austeniana che più di tutte mi appassiona e mi lascia piena di ammirazione è in un romanzo incompiuto (e per questo assai poco conosciuto anche dai Janeite più convinti): The Watsons (I Watson).
È la scena di danza più lunga e accurata che Jane Austen abbia mai scritto, dove c’è tutto quanto necessiti sapere sia sul valore sociale del ballo a quei tempi sia sulla maestria dell’autrice nel raccontare la storia dei tanti personaggi in gioco, intrecciandola mirabilmente ai volteggi e alle regole della danza. Un diamante grezzo, che Jane non ha mai ripreso per la revisione finale e anche per questo inevitabilmente ancora lontano dalla perfezione assoluta dei balli che l’autrice comporrà negli anni successivi, ma pur sempre un gioiello che non può restare nell’ombra e deve far parte della conoscenza di ogni Janeite.
Per celebrare l’inizio del nuovo anno, dunque, vi invito al grande «ballo invernale della città di D., nel Surrey» con cui si apre il romanzo incompiuto The Watsons (I Watson). Indossate i vostri abiti più belli e le scarpe più fini, sciogliete un poco i piedi, calzate bene i guanti badando di non toglierli mai, ripassate le regole dell’etichetta, e tuffatevi con me ed Emma Watson nella lunga, affollata serata danzante. Che il ballo abbia inizio. Buon Anno!
Continua a leggereChe cosa accadde a Bath? I cinque difficili anni di Jane lontano da casa
È convinzione comunemente diffusa anche tra i più appassionati Janeite che il cuore di Austenland sia Bath…
Durante i miei tè delle cinque austeniani dentro e fuori il grande mare di internet, mi trovo spesso a chiacchierare dei luoghi che sono stati scenari della vita, reale e letteraria, di Jane Austen.
Quando affermo di essere stata a Bath troppo tempo fa da poterlo ricordare con dovizia di particolari, per di più in un’epoca in cui ancora non avevo incontrato Jane Austen (sì, ero davvero molto giovane), la reazione dei miei interlocutori è immancabilmente di enorme sorpresa, non priva di una dose sempre variabile (ma pur presente) di… scandalo.
Come può essere? Un’ammiratrice di Jane Austen, appassionata e avida di conoscenza come me, è andata a Bath una sola volta, per di più nella vita pre-Jane Austen? Per sintetizzare: come può essere che una Janeite sfegatata non sia mai andata a Bath?
La mia risposta è sempre la stessa: perché il mio primo (e finora unico) viaggio austeniano ha puntato dritto al cuore di Austenland.
Che – contrariamente a quanto (quasi) tutti, anche tra i Janeite più appassionati, tendono a credere – NON è Bath.
Lo è, semmai, la contea dello Hampshire, dove Jane Austen è nata (a Steventon), è vissuta per i primi venticinque anni della sua vita (sempre a Steventon), e poi gli ultimi nove (a Chawton), ed infine è sepolta (a Winchester). Con questa sua terra, Jane aveva un vero e proprio rapporto simbiotico e sono convinta che non si possa dire di averla incontrata se non si è andati a trovarla qui, a casa sua.
Periodicamente, mi capita di leggere pareri addirittura più estremi che danno per certa un’avversione di Jane per Bath. Non arrivo a tanto semplicemente perché non esiste alcuna testimonianza diretta né nelle sue lettere (dove, semmai, si trovano alcuni giudizi positivi), né nei romanzi (certo, di Anne Elliot in Persuasion scrive che “Bath non le piaceva, le pareva che non le fosse congeniale” ma non mi sembra una prova sufficiente), né nelle biografie familiari, e questa presunta avversione resta, appunto, niente più di un’ipotesi, per quanto dedotta da elementi concreti.
Di certo, la vita di Jane Austen negli anni di Bath è un periodo breve e molto difficile, segnato da eventi negativi, in cui la sua vena creativa sembra addirittura scivolare in un inspiegabile letargo…
Che cosa le accadde a Bath?
E perché io non riesco a considerare questa splendida città, scenario di alcune parti dei suoi romanzi e citata qua e là nelle sue opere, il “vero” cuore di Austenland?
Servitevi di abbondante tè, dolcetti e sandwich, e andiamo con Jane a Bath.
I Watson e Emma Watson di Joan Aiken – Recensione
Lo strano destino dei Watson
(questa recensione è stata pubblicata per la prima volta il 25 luglio 2012 su Old Friends & New Fancies)
Due sono i romanzi incompiuti di Jane Austen. Uno è Sanditon, iniziato nel gennaio 1817 ed interrotto meno di due mesi dopo per cause di forza maggiore essendo sopravvenuta prima la malattia e poi la morte della sua ancor giovane e geniale Autrice.
L’altro è appunto questo I Watson (The Watsons) il cui destino è anomalo nella produzione austeniana, almeno considerando i romanzi cosiddetti “canonici”.
Iniziato intorno al 1803 e proseguito con non poche difficoltà, viene interrotto nel 1805 e messo da parte senza mai più essere ripreso. Se si considera che dal 1809, anno dell’insediamento definitivo nella quiete ispiratrice di Chawton, Jane riprese e revisionò alcune opere già scritte dando loro una versione definitiva, (Ragione e Sentimento, Orgoglio e Pregiudizio e persino il giovanissimo L’Abbazia di Northanger), la defezione dei Watson appare evidente.
Non sapremo mai le ragioni per cui Jane decise di abbandonare questa sua creatura senza mai darle una seconda possibilità.
Personalmente, tendo ad associarmi a coloro che ritengono determinanti gli eventi che caratterizzarono la sua vita in quegli anni: l’improvviso trasferimento a Bath, voluto dai genitori, in un città che Jane non apprezza; ma soprattutto, l’improvvisa malattia e morte di suo padre (1805), che getta nello sconforto lei, sua sorella Cassandra e la madre e che apre un periodo buio, irto di difficoltà economiche e di sistemazioni di fortuna, in cui le tre donne vivono della carità dei fratelli. Fino a Chawton, nel 1809, appunto.
I Watson appartiene a tutto questo e, pur senza alcuna prova appurata, ho sempre pensato che riprenderlo significasse per Jane riaprire un capitolo troppo doloroso che nemmeno le gioie della scrittura avrebbero potuto stemperare, soprattutto se si pensa che il padre della protagonista appare fin dalle prime pagine gravemente malato. Inoltre, alcuni spunti e personaggi sono stati “riciclati” per gli scritti successivi, come a confermare che per Jane I Watson era definitivamente abbandonato.
Nonostante ciò, oggi noi sappiamo che cosa ne avrebbe fatto, Jane, di questi derelitti Watson, se avesse voluto dare loro un senso compiuto. Ce lo ha svelato nel 1871 il nipote James Edward Austen-Leigh, nella famosa biografia Ricordo di Jane Austen (Memoir of Jane Austen), nella quale pubblicò questo frammento dandogli anche il titolo che non aveva mai avuto:
Quando la sorella dell’autrice, Cassandra, mostrò il manoscritto di questo lavoro a qualcuna delle sue nipoti, disse loro anche qualcosa sul seguito della storia, dato che con questa cara sorella – anche se, credo, con nessun altro – sembra che Jane abbia parlato liberamente di ogni lavoro che avesse tra le mani. Mr. Watson sarebbe morto presto e Emma costretta a dipendere per una casa dalla meschinità del fratello e della cognata. Avrebbe rifiutato la proposta di matrimonio di Lord Osborne, e molto dell’interesse del racconto sarebbe derivato dall’amore di Lady Osborne per Mr. Howard, innamorato invece di Emma, che alla fine avrebbe sposato. (trad. di Giuseppe Ierolli)
Chi volesse completarne la stesura dovrebbe tener conto di ciò anche se, a ben guardare, è un canovaccio ben scarno che contiene solo l’inevitabile lieto fine.
Nel 1996, Joan Aiken prova a completare l’opera di Jane Austen, con Emma Watson, ora tradotto in italiano dalla casa editrice TEA. Le note di copertina di questa edizione giustamente definiscono Mrs. Aiken prolifica ed eclettica perché, oltre ai tanti libri per bambini e ragazzi, da vera appassionata di Jane Austen si cimentò con ben sei derivati, tra cui Eliza’s Daughter (che abbiamo letto con le Lizzies nel salotto di Old Friends & New Fancies lo scorso anno per il bicentenario di Ragione e Sentimento).
Ma l’encomiabile sforzo di questa scrittrice, grande ammiratrice di Jane Austen, non mi sembra particolarmente ben riuscito.
A dance with Jane Austen – ovvero: l’importanza sociale e narrativa del ballo
Inevitabilmente, le danze riempiono le pagine delle opere di Jane Austen.
Innanzitutto, perché facevano parte della vita quotidiana dei suoi tempi. I balli avevano una funzione sociale fondamentale perché permettevano alle persone di incontrarsi e conoscersi derogando, entro limiti ben precisi, alle rigide regole che governavano i rapporti umani. Erano le sole occasioni in cui giovani di ambo i sessi potevano non soLo interagire direttamente ma anche toccarsi, anche se solo per il brevissimo intreccio delle mani durante una danza. Questa prossimità, questa promiscuità fisica, che oggi appare così casta da sembrare addirittura inesistente, annullava temporaneamente alcune barriere.
In secondo luogo, perché Jane evidentemente ama raccontare tutto quanto ruoti intorno alle occasioni danzanti. Le biografie familiari e le lettere, infatti, ci restituiscono l’immagine nitida di una donna appassionata di musica e ballo, che si prepara attentamente curando abiti e accessori (secondo le possibilità concesse dalle sue finanze sempre limitate), pregustando il divertimento e addirittura rinnovandolo nel piacere di raccontare nei particolari e con dovizia di commenti personali tutto quanto vi è accaduto.
Leggere il libro A dance with Jane Austen di Susannah Fullerton, edito da Frances Lincoln Publishers significa immergersi totalmente nelle pagine dei romanzi di Jane Austen e, attraverso di essi, nella moda e nel costume dell’epoca.
Inoltre, se vi sentite perfettamente in sintonia con la cara Zia Jane perché amate ballare, siete ballerini provetti, ammirati e ricercati ed avete nella memoria serate in cui non avreste mai smesso di volteggiare, questo libro fa al caso vostro perché qui troverete coniugate due diverse ma intense passioni, quella per Jane Austen e quella per il ballo.