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Dallo scaffale di Jane: Evelina, di Fanny Burney

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Leggere i libri che Jane Austen leggeva ha vantaggi molteplici, che vanno al di là del puro piacere di leggere, vantaggioso in se stesso: permette di farsi un’idea del panorama editoriale e letterario dell’epoca nonché della formazione della sensibilità narrativa della Jane giovane lettrice e scrittrice.
Perciò, dopo I misteri di Udolpho di Ann Radcliffe (autrice di cui avevo già letto, tanti anni fa, Romanzo Siciliano), mi sono imbarcata nell’esplorazione di un’altra scrittrice particolarmente amata e citata da Miss Austen: Frances “Fanny” Burney (13 giugno 1752 – 6 gennaio 1840).
In successione, ho letto Evelina, il suo primo romanzo, un grandissimo successo dell’epoca, e Cecilia, il secondo romanzo, strettamente legato a Pride and Prejudice proprio per la scelta del titolo (anche se non ne abbiamo alcuna prova certa), di cui parleremo nel prossimo tè delle cinque. Ben presto inizierò il terzo romanzo, Camilla, quello per il quale la stessa Jane, ventenne, scelse di sottoscrivere pubblicamente la raccolta di denaro utile a finanziarlo (per saperne di più, si veda il link al post in fondo alla pagina).

Oggi vi invito ad accompagnare il nostro tè con il primo romanzo di Fanny Burney, Evelina, or The History of a Young Lady’s Entrance into the World, provando ad immaginarci nella stessa situazione in cui molto probabilmente si trovò una giovanissima Jane Austen quando lo lesse la prima volta, cioè seduti nella drawing room della canonica di Steventon con la numerosa e vivace famiglia Austen, tutti intenti in un’appassionante lettura da alta voce.
Non saremo lontani dalla verità perché, grazie ai Memoir familiari, sappiamo che questa era un’abitudine consolidata del clan Austen e che Jane aveva una bella voce nonché la capacità di vivacizzare la lettura. Riuscite a vederli mentre ascoltano Jane e magari commentano il testo insieme a lei, proprio come faremmo noi nei nostri gruppi di lettura?…

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Diventa Lizzy Bennet, con Lost in Austen di HOP Edizioni

E’ il sogno nemmeno tanto inconfessato, il desiderio decisamente sfrenato di qualunque Janeite che si identifichi in Elizabeth Bennet: svegliarsi un bel giorno ed essere esattamente LEI!
Sarà per quella sua mente vivacissima, quel carattere brillante, quella bellezza che irradia luminosa dall’interno e rende magnetici i suoi begli occhi scuri… sarà che aver conquistato un uomo di grande umanità e valore come Fitzwilliam Darcy non può che confermare le sue doti di donna altrettanto umana e speciale che la avvicina a tutte noi eppure la rende unica…
…il fascino di Lizzy, dopo duecento anni, è ancora intatto e forse più magnetico ed entusiasmante che mai.
Dal 1° dicembre 2012, potremo davvero divertirci a indossare i suoi panni e viaggiare con la fantasia per i sentieri di Austen-landia grazie al libro che HOP edizioni ha portato in Italia

Lost in Austen

LOST IN AUSTEN
di Emma Campbell Webster
illustrato da Pénélope Bagieu
ed. HOP Edizioni
(01/12/2012)

Di che cosa si tratta? E’ una vera e propria storia che si dipana su quasi 400 pagine, che si legge come un romanzo ma si vive come un gioco di ruolo in cui la protagonista sei tu, Lizzy Bennet.
Per tutti i dettagli, vi invito con le mie care amiche Lizzies all’anteprima del salotto di Old Friends & New Fancies e nella dépendance ad alta densità creativa di La Collezionista di DettagliE non perdete i prossimi tè delle Lizzies…
Presto, infatti, condivideremo con voi questa nuova esperienza in una tipica “recensione lizzesca” a sei mani [lo stralcio della mia esperienza è in fondo a questo post] e, soprattutto, in un GIVEAWAY di Lost in Austen (HOP Edizioni) su Old Friends & New Fancies.
Grazie a HOP Edizioni per aver curato l’edizione italiana di questa chicca austeniana. (In uscita il 1° dicembre 2012)

DI SEGUITO: la RECENSIONE del libro, che riprende quella pubblicata per la prima volta nel blog Old Friends & New fancies il 16 dic. 2012.

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I Watson e Emma Watson di Joan Aiken – Recensione

Austen-Aiken, I Watson e Emma WatsonLo strano destino dei Watson
(questa recensione è stata pubblicata per la prima volta il 25 luglio 2012 su Old Friends & New Fancies)

Due sono i romanzi incompiuti di Jane Austen. Uno è Sanditon, iniziato nel gennaio 1817 ed interrotto meno di due mesi dopo per cause di forza maggiore essendo sopravvenuta prima la malattia e poi la morte della sua ancor giovane e geniale Autrice.
L’altro è appunto questo I Watson (The Watsons) il cui destino è anomalo nella produzione austeniana, almeno considerando i romanzi cosiddetti “canonici”.

Iniziato intorno al 1803 e proseguito con non poche difficoltà, viene interrotto nel 1805 e messo da parte senza mai più essere ripreso. Se si considera che dal 1809, anno dell’insediamento definitivo nella quiete ispiratrice di Chawton, Jane riprese e revisionò alcune opere già scritte dando loro una versione definitiva, (Ragione e Sentimento, Orgoglio e Pregiudizio e persino il giovanissimo L’Abbazia di Northanger), la defezione dei Watson appare evidente.
Non sapremo mai le ragioni per cui Jane decise di abbandonare questa sua creatura senza mai darle una seconda possibilità.
Personalmente, tendo ad associarmi a coloro che ritengono determinanti gli eventi che caratterizzarono la sua vita in quegli anni: l’improvviso trasferimento a Bath, voluto dai genitori, in un città che Jane non apprezza; ma soprattutto, l’improvvisa malattia e morte di suo padre (1805), che getta nello sconforto lei, sua sorella Cassandra e la madre e che apre un periodo buio, irto di difficoltà economiche e di sistemazioni di fortuna, in cui le tre donne vivono della carità dei fratelli. Fino a Chawton, nel 1809, appunto.
I Watson appartiene a tutto questo e, pur senza alcuna prova appurata, ho sempre pensato che riprenderlo significasse per Jane riaprire un capitolo troppo doloroso che nemmeno le gioie della scrittura avrebbero potuto stemperare, soprattutto se si pensa che il padre della protagonista appare fin dalle prime pagine gravemente malato. Inoltre, alcuni spunti e personaggi sono stati “riciclati” per gli scritti successivi, come a confermare che per Jane I Watson era definitivamente abbandonato.
Nonostante ciò, oggi noi sappiamo che cosa ne avrebbe fatto, Jane, di questi derelitti Watson, se avesse voluto dare loro un senso compiuto. Ce lo ha svelato nel 1871 il nipote James Edward Austen-Leigh, nella famosa biografia Ricordo di Jane Austen (Memoir of Jane Austen), nella quale pubblicò questo frammento dandogli anche il titolo che non aveva mai avuto:

MemoirJaneAustenQuando la sorella dell’autrice, Cassandra, mostrò il manoscritto di questo lavoro a qualcuna delle sue nipoti, disse loro anche qualcosa sul seguito della storia, dato che con questa cara sorella – anche se, credo, con nessun altro – sembra che Jane abbia parlato liberamente di ogni lavoro che avesse tra le mani. Mr. Watson sarebbe morto presto e Emma costretta a dipendere per una casa dalla meschinità del fratello e della cognata. Avrebbe rifiutato la proposta di matrimonio di Lord Osborne, e molto dell’interesse del racconto sarebbe derivato dall’amore di Lady Osborne per Mr. Howard, innamorato invece di Emma, che alla fine avrebbe sposato. (trad. di Giuseppe Ierolli)

Chi volesse completarne la stesura dovrebbe tener conto di ciò anche se, a ben guardare, è un canovaccio ben scarno che contiene solo l’inevitabile lieto fine.

Nel 1996, Joan Aiken prova a completare l’opera di Jane Austen, con Emma Watson, ora tradotto in italiano dalla casa editrice TEA. Le note di copertina di questa edizione giustamente definiscono Mrs. Aiken prolifica ed eclettica perché, oltre ai tanti libri per bambini e ragazzi, da vera appassionata di Jane Austen si cimentò con ben sei derivati, tra cui Eliza’s Daughter (che abbiamo letto con le Lizzies nel salotto di Old Friends & New Fancies lo scorso anno per il bicentenario di Ragione e Sentimento).
Ma l’encomiabile sforzo di questa scrittrice, grande ammiratrice di Jane Austen, non mi sembra particolarmente ben riuscito.

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A dance with Jane Austen – ovvero: l’importanza sociale e narrativa del ballo

Inevitabilmente, le danze riempiono le pagine delle opere di Jane Austen.
Innanzitutto, perché facevano parte della vita quotidiana dei suoi tempi. I balli avevano una funzione sociale fondamentale perché permettevano alle persone di incontrarsi e conoscersi derogando, entro limiti ben precisi, alle rigide regole che governavano i rapporti umani. Erano le sole occasioni in cui giovani di ambo i sessi potevano non soLo interagire direttamente ma anche toccarsi, anche se solo per il brevissimo intreccio delle mani durante una danza. Questa prossimità, questa promiscuità fisica, che oggi appare così casta da sembrare addirittura inesistente, annullava temporaneamente alcune barriere.
In secondo luogo, perché Jane evidentemente ama raccontare tutto quanto ruoti intorno alle occasioni danzanti. Le biografie familiari e le lettere, infatti, ci restituiscono l’immagine nitida di una donna appassionata di musica e ballo, che si prepara attentamente curando abiti e accessori (secondo le possibilità concesse dalle sue finanze sempre limitate), pregustando il divertimento e addirittura rinnovandolo nel piacere di raccontare nei particolari e con dovizia di commenti personali tutto quanto vi è accaduto.

Leggere il libro A dance with Jane Austen di Susannah Fullerton, edito da Frances Lincoln Publishers significa immergersi totalmente nelle pagine dei romanzi di Jane Austen e, attraverso di essi, nella moda e nel costume dell’epoca.

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Il leggendario Almack’s di Londra

Inoltre, se vi sentite perfettamente in sintonia con la cara Zia Jane perché amate ballare, siete ballerini provetti, ammirati e ricercati ed avete nella memoria serate in cui non avreste mai smesso di volteggiare, questo libro fa al caso vostro perché qui troverete coniugate due diverse ma intense passioni, quella per Jane Austen e quella per il ballo.

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Un gioiellino austeniano: Jack e Alice, nella preziosa edizione Donzelli


Un gioiellino. Ancora un po’ grezzo, sì, ma così brillante da splendere di una potente luce propria nonostante la sua immaturità.
Questo si può dire dell’insieme di tutti quegli scritti che Jane Austen compose durante l’adolescenza, approssimativamente tra il 1787 ed il 1793, raccolti sotto il nome di Juvenilia e che lei stessa aveva catalogato in tre volumi dai nomi pomposissimi – Volume The First, Volume The Second, Volume The Three – già applicando a se stessa e alla propria vocazione di scrittrice quell’ironia sferzante che avrebbe deliziato schiere di lettori nei secoli seguenti.
Ed è sempre con grande rammarico che devo constatare come questi scritti piacevolissimi siano pressoché sconosciuti persino presso i più convinti ammiratori della cara Zia Jane.

Non mi sono stupita, dunque, quando nel 2010 Donzelli Editore pubblicò questo Jack & Alice – Ozi e vizi a  Pammydiddle e molti Janeite italiani furono sorpresi e si trovarono in preda a mille domande sulla provenienza di questo scritto. Mi sono invece assai rallegrata del fatto che una casa editrice italiana, di propria iniziativa, abbia colto una delle gemme più preziose di quel gioiellino dedicandole tante premurose attenzioni.
Questa edizione di Jack & Alice, infatti, è illustrata con disegni originali di una giovane artista inglese, Andrea Joseph, commissionati appositamente da Donzelli.
E’ dunque con grande soddisfazione (anche un po’ nazionalista) che ho scoperto sul blog dell’artista, in alcuni post dedicati a questo splendido libriccino, che questa edizione è un pezzo unico, persino ricercato dagli stessi lettori anglofoni, perché non ancora uscito in inglese.

Ebbene, oggi vi invito ad un tè delle cinque molto prezioso, alla scoperta di un piccolo, grande racconto di una piccola ma già grande (grandissima) Jane Austen, in un’edizione piccola solo per le dimensioni perché grande nella qualità.

E se riuscirò ad incuriosirvi, una volta bevuto il vostro tè non mancate di trattenervi per un commento: potreste avere la fortuna di vincere una copia omaggio di questo libro…!

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