Per creature intendo, ovviamente, i personaggi che la fervida e brillantissima mente di Jane Austen ha partorito, regalando al mondo e all’eternità dei tipi psicologici e sociali di altissimo valore universale.
Dalla biografia pubblicata nel 1870 dal nipote James Edward Austen-Leigh, Memoir of Jane Austen (Ricordo di Jane Austen), e dalle lettere della stessa Jane sopravvissute al rogo censorio di Cassandra, oggi abbiamo molte notizie (per quanto non riusciremo mai a trovarle sufficienti!) sui fatti privati che hanno accompagnato la genesi delle sue opere letterarie.
La più curiosa e toccante per me è quella riguardante il rapporto tra Jane ed i romanzi che scriveva, ma soprattutto con i suoi personaggi – dei quali aveva immaginato la vita anche dopo le vicende narrate ai lettori. Si può dire che vivesse con i suoi personaggi, ogni giorno, dal momento in cui li creava con la sua penna: ne parlava alla sorella Cassandra, ai nipoti, a chiunque le facesse domande sui romanzi.
Proprio le sue lettere confermano questa sua convivenza simbiotica con le sue creature perché scriveva di loro con la stessa partecipazione con cui parlava di persone reali.
Nel post Dov’è il ritratto di Mrs Darcy? ho già raccontato di come, ad esempio, in una lettera alla sorella Cassandra, Jane parli delle due maggiori sorelle Bennet, Mrs Bingley e soprattutto Mrs Darcy, e della ricerca dei loro ritratti durante la visita ad alcune mostre di pittura.
Ebbene, nella biografia di James Edward Austen-Leigh, molti passi sono dedicati a questo particolare attaccamento “post-romanzo”: per la maggior parte, si tratta di citazioni dalle lettere.
Ma c’è anche un famoso frammento della memoria dell’autore di questa biografia, tutto incentrato su questo argomento, così prezioso per noi lettori, ammiratori e, in fondo, studiosi dell’arte di Jane Austen. Ed è un ricordo familiare e privato di inestimabile valore pubblico.
Si trova al capitolo X (pag. 144 dell’edizione italiana, Sellerio, 1992) e ve lo riporto integralmente, anche nell’originale inglese (il grassetto dei nomi propri è mio).
IT – Se glielo chiedevamo, ci raccontava molti particolari della vita dei suoi personaggi oltre il romanzo. Così ci disse che Miss Steele non ebbe successo nel suo tentativo di acchiappare il dottore; che Kitty Bennet si sposò bene, vicino a Pemberley, con un ecclesiastico, mentre Mary non ottenne niente più di un impiegato di suo zio Filippo e si contentava di brillare nella società di Meriton; che la “considerevole somma” data dalla signora Norris a William Price era una sterlina; che il signor Woodhouse era sopravvissuto al matrimonio di sua figlia, e li aveva trattenuti dallo stabilirsi a Donwell per due anni; che la lettera messa da Frank Churchill davanti a Jane Fairfax e che lei spazzò via senza leggerla conteneva la parola “perdono”. Della buona gente di Northanger Abbey e Persuasione non sappiamo niente di più di quel che è stato scritto: prima che quelle opere fossero pubblicate, l’autore ci era stato strappato, e tutte quelle divertenti comunicazioni erano cessate per sempre.
EN – She would, if asked, tell us many little particulars about the subsequent career of some of her people. In this traditionary way we learned that Miss Steele never succeeded in catching the Doctor; that Kitty Bennet was satisfactorily married to a clergyman near Pemberley, while Mary obtained nothing higher than one of her uncle Philip’s clerks, and was content to be considered a star in the society of Meriton; that the ‘considerable sum’ given by Mrs. Norris to William Price was one pound; that Mr. Woodhouse survived his daughter’s marriage, and kept her and Mr. Knightley from settling at Donwell, about two years; and that the letters placed by Frank Churchill before Jane Fairfax, which she swept away unread, contained the word ‘pardon.’ Of the good people in ‘Northanger Abbey’ and ‘Persuasion’ we know nothing more than what is written: for before those works were published their author had been taken away from us, and all such amusing communications had ceased for ever.
Questo era il legame tra Jane Austen e le sue creature, un legame profondamente immerso nella sua vita quotidiana e sollecitato da tutti coloro che le stessero vicino o avessero occasione di avvicinarla, a dimostrazione dell’interesse che fin da subito il suo microcosmo era riuscito ad accendere.
La nostra ossessione affettuosa per i personaggi austeniani e le loro vicende, dunque, non è un inconsistente fanatismo ma ha una giustificazione: innanzitutto, nella grandezza dell’opera austeniana ma anche e soprattutto ha un precedente eccellente, l’Autrice stessa!
Si potrebbe persino dire, azzardando e portando tutto alle estreme conseguenze, che Jane Austen abbia involontariamente dato il via alla girandola irrefrenabile delle opere derivate dai suoi romanzi, quasi inventando addirittura dei canovacci ad uso dei posteri!
(Sì, noi posteri ci siamo fatti un po’ prendere la mano, uscendo decisamente dal tracciato, talvolta!)
Non mancherò di tornare su questa vita post-romanzo dei personaggi austeniani perchè la stessa biografia di J.E. Austen-Leigh e le lettere di Jane Austen sono piene di meravigliosi, semplici, affettuosi pensieri rivolti a loro.
☞ Elinor e Marianne come Cassandra e Jane?
☞ Jane e le sue creature dopo la parola fine (2) – Lizzie Bennet
Note
– Le Lettere di Jane Austen sono state tradotte in italiano in due edizioni: di Costa&Nolan e di Giuseppe Ierolli (ilmiolibro.it).
– L’edizione originale delle lettere, la più completa e filologicamente corretta, è Letters of Jane Austen, di Deirdre LeFaye e R.W.Chapman, ed. Oxford University Press.
– Una raccolta delle lettere è disponibile online sul sito Jane Austen.it (in italiano + testo inglese a fronte)
Che bel post! Molto interessante. Devo dirti che, da quando ti ‘frequento’, mi sto appassionando sempre di più a Jane Austen, alla sua vita… E mi appare sempre più rivoluzionaria, pure in quella che può sembrare un’esistenza in ombra.
Non andrò a leggermi le lettere di Jane: mi piace troppo scoprirle attraverso la tua interpretazione!
Grazie
Giuliana
Beh, sai, tutti gli scrittori immaginano come possa evolversi la vita dei loro personaggi anche dopo la fine del romanzo, perché è particolare il rapporto che intercorre tra lo scrittore e i suoi personaggi: è una sorta di rapporto di amicizia, d’amore, è una familiarità unica con personaggi di cui si riesce a comprendere pienamente la natura… perché i personaggi stessi sono i soli a comprendere la natura dell’autore, è un rapporto davvero profondissimo! Sembra una cosa strana vista dall’esterno, ma davvero gli scrittori vivono delle vere e proprie relazioni con le loro creature, perché in ogni personaggio c’è una parte importante della loro anima! Perciò è naturale che Jane continuasse ad immaginare e a “cercare” i suoi personaggi dopo il the end, perché è l’esigenza di tenersi sempre in contatto con qualcuno di estremamente caro, indispensabile per la propria vita! Da scrittrice, lo dico per esperienza, anch’io immagino sempre che cosa accada in seguito alle vite dei miei personaggi! Perché fanno parte della mia vita e come cari, vecchi amici ho bisogno di sapere che siano felici anche dopo che è finito il romanzo! E’ bello sapere che Jane amava narrare le avventure future dei suoi personaggi ai nipoti… doveva essere un incanto ascoltarla…
😉
I tuoi posti su Jane sono insuperabili!!!!! Complimenti..e grazie per farci conoscere meglio la “nostra zietta”! ^_^
(…grazie a @tutte voi per la lettura ed i vostri commenti!)
Per quanto i suoi familiari abbiano affermato che la vita di Zia Jane era “priva di eventi degni di nota”, e ne abbiano costruito una sorta di “santino” edificante, credo che dai suoi scritti sia evidente come invece sia stata intensamente vissuta.
E sì, @Giuliana, anche a me alla fine appare in qualche modo rivoluzionaria!
@Silvia: …e tu un giorno ci racconterai dei tuoi personaggi, vero?… 😉 Non fatico a credere quanto dici, del resto persino noi lettori tendiamo a farci i nostri “sequel” a proposito dei personaggi. Per gli scrittori deve proprio essere ancora più amplificato e profondo!
@Estel, come sempre, grazie delle tue parole.
Sì, in autunno racconterò un po’ dei miei personaggi!!
😉
My Dearest,
confesso di aver sempre immaginato Zia Jane parlare dei suoi personaggi come se fossero reali…forse, questa simbiosi è semplicemente una naturale conseguenza dopo averli conosciuti ed amati (buoni e meno buoni) nei suoi romanzi. In quanto alla Zia, posso parimenti immaginare, se pur non sia io (ahimé!) una scrittrice, che la confidenza con le sue creature fosse un normale processo di acquisizione delle loro caratteristiche, un pò come quando, si ipotizza una teoria e pian piano se ne svolge la tematica, approfondendola sino ai dettagli, tant’è che alla fine, ne parliamo come di qualcosa che ci par di sapere da sempre, di conoscere da sempre…quasi non fossimo stati noi stessi a darle origine.
Mi piace pensare che Zia Jane fosse ella stessa vittima del fascino dei propri personaggi…incantata, come noi, dalla sua medesima magia!
In fondo, viene spontaneo indossare le vesti dell’uno o dell’altro personaggio quando si leggono i suoi romanzi e quando si rivivono certe simili situazioni nella nostra quotidianità, non è così? Ci sorprendiamo a pensare “Elinor, certamente, si controllorebbe e risponderebbe così…”, oppure “E se questo tipo brillante e così affascinante fosse un altro Wickham?!”…dunque, mia cara, come rimarchi in questo bel post :), la certezza che proprio la Zia abbia condiviso (inconsapevole) certi pensieri con noi, ci fa sentire meno folli, rivelando la magia nascosta dei suoi memorabili personaggi! 😀
Many kisse, dear! :*
Interessantissimo post!
Credo che zia Jane abbia un po’ autorizzato tutti i suoi nipoti a fare supposizioni e ad immaginare dei sequel… Forse anche lei li avrebbe scritti, ma magari li avrebbe tenuti per sé…:D
Posso fare un appunto (ancora una volta) sulla traduzione?
Ma, dico io, il traduttore non ha mai letto Orgoglio e Pregiudizio?
E che, non è risaputo che lo zio Phillips non andava tradotto (lo zio Filippo è davvero ridicolo!!!)???
Scusami, di solito odio usare tanta interpunzione a sproposito, ma stavolta ci vuole proprio!!!
@Gabriella: Ah, la traduzione, croce e delizia dei lettori e degli stessi traduttori!
Purtroppo, l’avevo notato anch’io e non posso che essere assolutamente, inopinatamente d’accordo!
Tra l’altro, già che ci sono, sottolineo un’altra pecca del traduttore.
Ha tradotto questa frase:
that Mr. Woodhouse survived his daughter’s marriage, and kept her and Mr. Knightley from settling at Donwell, about two years;
un po’ malamente:
che il signor Woodhouse era sopravvissuto al matrimonio di sua figlia, e li aveva trattenuti dallo stabilirsi a Donwell per due anni;
A chi si riferisce “li”? Dov’è finito Mr Knightley?
Io (ecco, la solita ex traduttrice che pensa di saperne più di chi ancora fa questo nobile mestiere) avrei tradotto:
che il signor Woodhouse era sopravvissuto al matrimonio di sua figlia, ed aveva trattenuto questa e Mr Knightley dallo stabilirsi a Donwell, per circa due anni;
Mi sembra più chiaro.
ciao mia delizia, grazie del bellissimo post, l’ho trovato davvero stimolante e anche commovente perchè ci manca tanto la zia ed è davvero un peccato ci sia stata strappata prima che potesse donarci ancora la sua magia ^.^
un bacio
Aldina
Mia cara @Aldina, uno dei motivi per cui leggere Sanditon per me è una piccola sofferenza è proprio il pensiero di ciò che avrebbe potuto essere, e che hai espresso così bene.
Chi di noi non ha mai continuato ad immaginare come prosegue il romanzo una volta arrivate alla parola “fine” tanto da -quasi- dispiacersene?! E la suggestione si fa ancora più forte nei romanzi incompiuti, quando la Zia Jane ci lascia troppe pagine bianche su cui fantasticare. Sia I Watson sia Sanditon si interrompono proprio quando si è entrati in piena familiarità con le famiglie e le loro vicende e il loro fascino produce i suoi effetti nell’indurci a immaginare ognuno il proprio seguito ideale.
Oh sì, non riusciamo mai ad averne abbastanza, della nostra amata ed insostituibile droga preferita!