Intorno all’intera opera di Jane Austen aleggia una nomea ingiusta e falsa. Che, cioè, si tratti di letteratura leggera, quasi “rosa”, comunque molto femminile e del tutto trascurabile per un lettore di genere maschile, perché è roba da donne, per di più disgustosamente romantiche.
E che i suoi romanzi siano lenti, noiosi, densi di lunghe descrizioni, lunghi scambi di lunghe battute, lunghe lettere, e dove l’unica cosa che succede è che delle giovani donne non pensano ad altro che a maritarsi, per di più spinte dall’interesse ancor prima che dall’amore.
Basta, riabilitiamo la cara zia Jane e ristabiliamo la verità!
Il buon matrimonio come centro focale dello sguardo di Jane Austen non è che un pretesto per costruire un’impalcatura a sostegno di ben altro.
E non parlo soltanto degli elementi squisitamente romanzeschi – come l’intreccio impeccabile, le sottotrame finemente tessute, i personaggi variegati e profondissimi ritratti con pennellate perfette, lo stile originale e “scioglievolissimo” che conserva intatto, dopo due secoli, tutto il suo sapore.
Parlo di contenuti e suggestioni, a cominciare dalla messa alla berlina (se non addirittura del sovvertimento) delle convenzioni sociali e degli schemi mentali, nonché del senso comune a discapito del buon senso, per continuare con le protagoniste femminili strepitosamente femministe senza nemmeno saperlo (Jane Austen non conosceva questa parola), o con i protagonisti maschili irresistibilmente imperfetti e realistici, lontani anni luce dal principe azzurro più stucchevole, e infine con tutti i personaggi di contorno dotati di molta sostanza caratteriale e funzionalità drammaturgica.
Parlo anche di un contesto sociale feroce che emerge intatto dalle sue pagine.
I rapporti interpersonali avevano regole rigidissime ed i balli erano le uniche occasioni per incontrarsi (e per sfiorarsi nelle figure delle danze). Non c’era alcuna traccia di mobilità sociale ed i matrimoni erano praticamente blindati.
Alle donne, in ogni classe sociale, era riservato un ruolo apertamente gregario rispetto agli uomini.
Non potevano ereditare il patrimonio di famiglia, che, in assenza di figli maschi, andava al familiare maschio più prossimo (solo alle più ricche era concessa una rendita). E a meno di appartenere alla classe più bassa, alle donne non era consentito lavorare.
L’unico patrimonio riconosciuto ad una donna erano la bellezza e la modestia, (attributi così inscindibili da sembrare uno solo).
In un quadro del genere, sposarsi garantiva non solo un’occasione di alleanza redditizia per la famiglia ma anche il sostentamento per se stesse. Ecco perché restare zitella era una tragedia: si gravava sulle spalle dell’uomo di famiglia (il padre, prima, l’eventuale fratello poi) per tutta la vita e si faceva perdere qualche buona occasione sociale e finanziaria alla famiglia.
Nelle opere di Jane Austen non troverete i grandi temi della Storia dell’epoca. Troverete solo la guerra della vita quotidiana che obbligava le donne a sgomitare tra loro per accaparrarsi la migliore (e l’unica) garanzia di sostentamento per il resto della loro vita.
Ecco che cos’era quello che troppo spesso liquidiamo con l’espressione “un buon matrimonio”.
Non vi troverete nemmeno le donne stereotipate della maggior parte dei romanzi scritti dagli uomini, dove esse non fanno altro che svenire, piangere, urlare, civettare senza tregua, e sono belle e buone fino all’esasperazione, oppure brutte e cattive fino alla ridicolaggine. Provate a leggere Pamela di Samuel Richardson, dello stesso periodo storico, e dopo tre pagine avrete chiaro il quadro della situazione.
Troverete semmai donne di ogni tipo, esattamente ciò che sono nella realtà. Alcune vi disgusteranno sommamente, altre vi piaceranno senza condizioni.
Troverete soprattutto protagoniste così fuori dagli schemi da sembrare quasi rivoluzionarie, armate del solo potere dei loro sorrisi e dei loro brillantissimi cervelli.
Ecco che cosa offre la cara zia Jane: un connubio perfetto di forma e contenuto, intrecci tessuti con abilità e personaggi modernissimi in cui non potrete non identificarvi – un’opera che supera i confini di spazio e tempo e genere.
Siete ancora convinti che si tratti di roba da donne, per di più disgustosamente romantiche?…
Clap, clap, clap….
Bravissima!!!!
Non ho trovato una parola da togliere ne ce ne neanche una da aggiungere